Mind Your Business (ness, ness)

Premetto che questa non è una recensione, ma un atto di Fede. Quando la settimana scorsa ha iniziato a diffondersi l’ennesimo rumor su una nuova canzone con la Santa ho avuto subito un brivido, e visto che siamo connessi dal Frappuccino ho tirato su un sorso, letto il tweet che diceva “registrato un nuovo duetto di Will.i.am e Britney Spears”, e avuto un brivido: stavolta era vero, me lo sentivo. E non era il picco glicemico a parlare. Del resto ci stava: in un periodo di revival che ci vengono sbattuti in faccia con violenza, una Scream & Shout 2 sarebbe stata l’equivalente gay di un nuovo film dei Transformers.

Il caro Will aveva già iniziato a inondare i social di BRITNEY BITCH come se piovesse, quindi ero già molto soddisfatto di aspettare uno scarto di Britney Jean registrato da un WhatsApp mandato da Britney mentre girava su se stessa in Messico senza che lei lo sapesse. Shame on me, Santa Spears, perché ho dubitato di te. Shame on me perché alla fine ti voglio bene da ogni lato possibile ma non mi ricordo mai fino in fondo che genio della musica tu sia. E sì, lo so che Mind Your Business (da ora abbreviata più comodamente in Manjobì) è una canzone di Will.i.am, ma è co-written da The Legendary. Leggendaria di nome e di fatto, perché nessuna delle vostre fav riuscirebbe mai a mettersi in posa per una copertina con la stessa identica faccia di vent’anni fa, con la stessa identica espressione, ed essere indistinguibile dal passato.

Manjobì, dicevamo, ci ha colpito a un certo punto dritto in faccia. E tutti quanti abbiamo pensato un sonoro WTF che ha spezzato di colpo il nostro sogno di ritirare fuori la felpa dell’Adidas con 45 gradi all’ombra, e alzarci la coda alta in un gesto plastico. Manjobì non solo non è Scream & Shout 2, ma trattasi di uno strano giro in ottovolante nelle menti di Will.i.am strafatto e Britney al naturale. Sapete perché so che è vero che la Santa ha co-scritto e cantato Manjobì in tempi recenti? Frappuccino telepatico a parte, si percepisce piuttosto chiaro che questa canzone sia frutto del desiderio di divertirsi di una mente unica al mondo, che Dio solo sa che cosa le passi per la testa.

La Santa adora poche cose più di Starbucks e dei Cheerios, ma tra queste ci sono sicuramente le canzoni truzze, quelle contro i paparazzi, e quelle dove non si capisce una cippa di quello che dice. E signori miei, Manjobì è tutto questo: è come se Piece of Me, Work B*tch e Man On The Moon (“Sciatäœmarriò!”) avessero avuto un figlio, e Will.i.am avesse deciso di portarlo a un chem party come regalo del diciottesimo. Oltre a riscrivere secoli di pronuncia inglese, con Manjobì la Santa è riuscita in qualcosa che dopo Hold Me Closer, io peccatore, davo come in pausa: stupirmi di brutto. Io questo trip tra un disturbo evolutivo del linguaggio e una canzone k-pop del 2037 non me lo aspettavo, non so voi. E non è che devo mettermi a spaccare il capello in quattro per capire se è Myah Marie o l’intelligenza artificiale a cantare: in Frappuccino veritas.

Francamente, dopo un giorno passato ad ascoltare Manjobì, i pochi neuroni rimasti vivi muovono solo la testa avanti e indietro come a una rave di piccioni epilettici. Ne ho lette tante: molti gays si sentono profondamente offesi dal fatto che questa non sia S&S2. Ma si sa anche che molti gays sono avidi e vorrebbero tutto per sé, tipo la Sirenetta deve essere dell’etnia che dice il me stesso di otto anni, e Britney Spears deve ripetere “BRITNEY BITCH” fino alla fine dei suoi giorni, magari con un serpente per sciarpa. Ma poi voglio dire: sono settimane che vi strappate le mutande per Padam Padam, e ora volete farmi credere che non potete cantare anche “Dershigò dershigò dershigò?”. Dai. E poi: la Santa, dopo tutto quello che ha passato, non ci deve nulla. Questa è la sua “minimum era”, e già il solo fatto che abbia messo il suo nome su una canzone è Lexotan che cola. Il fatto che quella canzone sia Manjobì, per quanto possa sembrare impossibile, lascia davvero ben sperare per il futuro. La nostra ragazza trottola è ancora innamorata della musica. E io di lei, oggi più che mai.

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Di popslut

Il neologismo puttan-pop nasce con popslut, e qui trova la sua teorizzazione e il suo osservatorio privilegiato. Con puttan-pop si intende quella branca del pop, inteso come showbiz (quindi musica, cinema e qualsiasi altro tipo di arte) che ha tra i suoi ingredienti il culto del personaggio e qualsiasi forma di sgualdrinaggine, reale o simulata, come ingrediente e veicolo. Il puttan-pop non è solo questione di musica, ma anche e soprattutto quello che ci gira intorno: una sgualdrina pop (donna o uomo che sia) è un mondo a parte fatto di video musicali, servizi fotografici, fan impazziti, e soprattutto gossip. I tabloid contemporanei sono un po’ quello che erano i boia ai tempi delle esecuzioni capitali sulla pubblica piazza: sacrificano queste star pop per il divertimento del popolo, sbattendo la loro vita privata in copertina, spesso diventando complici del loro successo. Il tutto è talmente imputtanito che spesso le vittime si alleano coi carnefici, facendo dei pettegolezzi che le riguardano uno stratagemma per non finire nel dimenticatoio.

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