lana del rey a parigi + recensioni (anche la mia)

Il video qua sopra dice molto, ma direi che è giunto il momento anche per me di dire la mia su Born To Die, l’album di Lagna Del Rey uscito fresco fresco e leakato da qualche giorno, tanto da essere ormai fisso negli iPod della maggior parte di voi.
Parto subito a bomba, nel tentativo di essere breve e lasciare spazio a un’altra interessante recensione arrivata da un lettore:
Born To Die è un disco piacevole, ben confezionato, che si lascia ascoltare e che allo stesso tempo sembra essere decisamente incompleto sotto diversi punti di vista.
La sensazione è che Lana sia stata lanciata nella mischia perché dopo la grande popolarità sul web questo era e doveva essere il suo momento. Con un po’ di lavoro in più sulle melodie e sui testi l’album avrebbe potuto essere un capolavoro a cinque stelle. Così, è “solo” un buon debutto.
Lasciamo un attimo da parte il personaggio Lagna Del Rey per parlare della Lagna Del Rey cantante, che sia da studio o meno come ha detto lei.
Born To Die è un disco omogeneo per scelta: al primo ascolto sembra di avere nelle orecchie una sola lunghissima traccia, intervallata da pochi e isolati momenti imbarazzanti come il finto rap di
National Anthem o il cabaret industrial di Million Dollar Man (queste due espressioni le ho lette nella recensione dell’album della CNN, ma non potrei essere più d’accordo).
Ma agli ascolti successivi emergono tutti i punti forti del disco: alcuni pezzi sono letteralmente in grado di trascinare l’ascoltatore in momenti effettivamente ipnotizzanti e suggestivi. Su tutte le canzoni penso in particolare a
Diet Mtn Dew e Dark Paradise, le vere perle dell’album.
Degna di nota, nella special edition, l’ottima Lolita, che lascia la voglia di ascoltare qualcosa di più di “quest’altra” Lana, ai confini col puttan-pop.
Purtroppo resta il problema: un prodotto tendenzialmente raffinato e ricercato che cade troppe volte nell’autoripetersi e nel concedersi testi che purtroppo non sono all’altezza delle melodie. Difetti che non permettono a questo disco di essere davvero il debutto folgorante che ci avevano promesso. Nonostante questo,
Born To Die è un album da ascoltare e apprezzare nelle sfumature: se davvero il fenomeno Lana Del Rey esploderà, e in questo saranno determinanti non solo le vendite ma anche i prossimi live, avremo modo di assistere a un’evoluzione interessante di un’artista forse gettata nella mischia troppo presto, ma dall’alto potenziale.
Voto: 6.5

E ora, lascio la parola a Filippo, altro lettore che ha risposto al mio appello di scrivere una recensione del disco. A fine post, gli ultimi live di Lagna e alcune foto dalla visita di queste ore a Parigi.

Finalmente la cara Lizzie Grant ce l’ha fatta, dopo parecchie siliconate e originali video-collage, sembra sia riuscita a sfornare un disco che qualcuno oltre ai suoi famigliari ascolterà, a cosa attribuire questo entusiasmo dilagante e assolutamente precoce per un’artista sconosciuta ai più? Un nuovo nome, i soldi del paparino o una raggiunta maturità artistica? Impossibile definirlo dopo un solo album, ma sta di fatto che
Born to Die è qualcosa di apparentemente diverso dal genere disco-remix-trash ultimamente sempre più popolare, almeno va premiata per il coraggio, se poi il suo sadcore (nemmeno troppo sad per i testi) farà strada si vedrà, se non al primo sicuramente al secondo (?) album.
Le prime tracce del disco sono probabilmente le più note, se non altro al pubblico del web, tutto inizia con la plurisentita e sopravvalutata
Video Games che, col senno di poi, sembra persino la meno riuscita, il suo successo pare quindi dovuto maggiormente al sentore di novità, una sorta di capro espiatorio, si passa poi per la title track Born to Die, vagamente francofona al primo ascolto, più interessante al secondo, terzo (come del resto quasi tutte le canzoni di Lana Del Rey). Spicca Off to the Races per ritmo, testo e ottimo uso del contrasto voce piena (quasi nasale a tratti) e falsetto, tipico di Lana, ovviamente senza gli effetti improbabili del live al Saturday Night Live, lo studio di registrazione aiuta, notevole anche Blue Jeans, ma meno incisiva; inaspettata la versione CD di Diet Mtn Dew, quasi quanto il titolo impronunciabile, la
demo suonava meglio a un primo ascolto, ma questa edizione ritmata con batterie leggermente up-tempo non dispiace. Fuochi d’artificio fastidiosi aprono
National Anthem, che per quanto in linea con le precedenti non sembra totalmente all’altezza di esse, anche per un testo insipido (“Money is the reason we exist”, “Money is the anthem of success” ? Evitabile). Dark Paradise colpisce soprattutto per titolo, melodia nelle strofe e nel bridge, molto bella; inizio deprimente invece per Radio, che però si fa ascoltare, dimenticabile.
Carmen è l’apice sadcore, si sta sfiorando la noia, un ritmo un po’ più veloce e una voce meno strascicata aiuterebbero. Non arrivano con Million Dollar Man, ma la melodia è piacevole, da piano bar sofisticato, con luci soffuse. Riguardo poi alla canzone numero 11 Lana in un live disse: “You’re gonna fucking like it when it’s on the record”, non siamo forse a quei livelli, ma certamente Su-su-summertime Sadness è una delle più interessanti, soprattutto dopo i precedenti due brani. Conclude la versione standard This Is What Makes Us Girls e direi che la conclude bene, una canzone senza troppe pretese, anche più orecchiabile di altre. Si aggiungono poi nella special edition Without You, Lolita e Lucky Ones, non è chiaro perché debbano conferire l’aggettivo special, ma a parte la prima che è vagamente inutile, le altre due sono degne di nota, per quanto totalmente in contrasto: caotica e rumoreggiante una, soft e troppo poco sad per essere Lana l’altra.
Manca la straordinaria demo
Kinda Outta Luck, forse non troppo in linea con le altre, peccato.
Che cosa dire quindi di
Born to Die? Alla fine dell’album si rimane un po’ frastornati e leggermente depressi, forse si dovrebbe ascoltare a più riprese, ma se si tiene a mente quello che è ovvero il prodotto di un’esordiente, senza troppe aspettative, direi che si rimane piacevolmente sorpresi, le melodie sono ben strutturate e a tratti eccellenti, i testi un po’ confusionari ma pieni di immagini interessanti, a volte manca un po’ di originalità e tende al monotono, eppure le canzoni più note e due o tre altre sono più che soddisfacenti e dopo un po’ rimangono in testa, con quella loro aria retrò strascicata e quasi sofisticata che Lana Del Rey sa dare con la sua voce. Insomma, esordio discreto, troppo montato, ma confido nel futuro. E in live decenti.



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Di popslut

Il neologismo puttan-pop nasce con popslut, e qui trova la sua teorizzazione e il suo osservatorio privilegiato. Con puttan-pop si intende quella branca del pop, inteso come showbiz (quindi musica, cinema e qualsiasi altro tipo di arte) che ha tra i suoi ingredienti il culto del personaggio e qualsiasi forma di sgualdrinaggine, reale o simulata, come ingrediente e veicolo. Il puttan-pop non è solo questione di musica, ma anche e soprattutto quello che ci gira intorno: una sgualdrina pop (donna o uomo che sia) è un mondo a parte fatto di video musicali, servizi fotografici, fan impazziti, e soprattutto gossip. I tabloid contemporanei sono un po’ quello che erano i boia ai tempi delle esecuzioni capitali sulla pubblica piazza: sacrificano queste star pop per il divertimento del popolo, sbattendo la loro vita privata in copertina, spesso diventando complici del loro successo. Il tutto è talmente imputtanito che spesso le vittime si alleano coi carnefici, facendo dei pettegolezzi che le riguardano uno stratagemma per non finire nel dimenticatoio.

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